Due giorni prima il drammaturgo e sceneggiatore Harold Pinter, in occasione del Premio Fiesole-Maestri del Cinema (per la prima volta assegnato a un non regista), pronuncia all'Università di Firenze (che gli conferisce una laurea honoris causa) un vibrante atto d'accusa contro gli Stati Uniti che, «dalla fine della seconda guerra mondiale in poi, hanno adottato un'eccellente strategia, a volte persino furbesca. Sono riusciti a manipolare incessantemente, sistematicamente, spietatamente e con fredda determinazione il potere mondiale travestendosi da dispensatori del bene universale».
Peccato che i giornali riportino il discorso il giorno stesso dell'attentato alle Twin Towers e al Pentagono.
È abbastanza agevole, seguendo i quotidiani del post 11 settembre, sbizzarrirsi nel rintracciare premonizioni, allusioni e scenari catastrofici del cinema hollywoodiano in relazione agli attentati terroristici in America. Il programma di un'eventuale retrospettiva potrebbe essere il seguente: King Kong (1974, di John Guillermin), il cui epilogo si svolge proprio alle Twin Towers da poco inaugurate (mentre la versione originale, 1933, si accontentava dell'Empire State Building); L'inferno di cristallo (1974, dello stesso Guillermin, titolo originale The Towering Inferno), denuncia della speculazione edilizia e della mancata prevenzione, anche nei soccorsi; 1997 - Fuga da New York (1981, di John Carpenter), ove l'aereo presidenziale si schianta proprio contro il World Trade Center; Without Warning Terror in the Towers (1993, di Alan J. Levi), per noi inedito tv-film in cui le torri diventano, «senza preavviso», obiettivo dei terroristi; Independence Day (1996. di Roland Emmerich), ove New York e Washington sono tra gli obiettivi simbolici da distruggere da parte di un nemico che agisce senza apparenti ragioni; Mars Attacks! (1996, di Tim Burton), ove la Tour Eiffel crolla esattamente come le Twin Towers; Godzilla (1998, di Roland Emmerich), ove i grattacieli di Manhattan sono presi di mira dal lucertolone anfibio in una città gestita da un sindaco inetto; Fight Club (1999, di David Fincher), ove nel finale gli anarcoterroristi fanno saltare le grandi torri del potere economico americano; Codice: Swordfish (2001, di Dominic Sena), ove il superagente John Travolta sfida lo sceicco Osama bin Laden sul suo terreno; Danni collaterali (2001, ma uscito solo nel 2002, di Andrew Davis), ove Arnold Schwarzenegger perde la famiglia nel crollo di un grattacielo colpito da una bomba.
Con l'occasione viene ritirato dal commercio l'ultimo disco del gruppo rap The Coup, che mostra in copertina la sommità delle torri in preda al fuoco e al fumo di un'esplosione, ma nessuno si accorge della foto del grande André Kertész che compare in copertina del bestseller Underworld di Don DeLillo, Einaudi, 1999: le Twin Towers con la sommità sfumata e un piccolo aereo – o un grande uccello – in volo che si avvicina. Ma la rimozione continua. Le Twin Towers scompaiono dai film di fiction americani e risultano ormai rintracciabili soltanto nel logo di Manhattan (1979, di Woody Allen). A parte il sospetto, condiviso da insospettabili quali l'ottimo scrittore Sandro Veronesi, che il complotto sotteso dietro l'immane tragedia non sia così unidirezionale, resta il dubbio che si possa impedire una location perché non esiste più.
Ai dubbiosi si aggiunge l'autorevole Jean Baudrillard (Lo spirito del terrorismo, Raffaello Cortina, 2002): «Che noi abbiamo sognato questo evento, che tutti senza eccezione l'abbiamo sognato, dato che non si può non sognare la distruzione di una potenza divenuta tanto egemonica, è inaccettabile per la coscienza morale dell'Occidente, ma è tuttavia un fatto, che si misura appunto attraverso la violenza patetica di tutti i discorsi che vogliono negarlo».